Le leggende di Cesi

Cesi porta dell'Umbria porta delle meraviglie

La montagna incantata: così è definita la "montagna di Cesi" il cui nome in realtà è Monte Eolo

A questo appellativo è legata la leggenda del dio dei venti che si voleva abitasse nelle viscere del monte dalle quali fuoriescono getti d’aria, calda d’inverno e fresca d’estate. Per questo gli antichi abitanti della zona immaginarono che nelle viscere della montagna abitasse il dio dei venti, Eolo. 
Il fenomeno è oggi facilmente spiegabile: all’interno del monte vi sono numerose grotte e cunicoli, la cui individuazione è favorita proprio dalle correnti d’aria che fuoriescono dalla terra. 
La grotta più nota è quella chiamata appunto Eolia, che si trova al centro del paese, con accesso dai sotterranei di Palazzo Stocchi, ma in tutta la montagna ci sono importanti cavità carsiche d’interesse speleologico, tra le quali la bellissima grotta Gis, nei pressi della vecchia cava sulla strada di collegamento tra Terni e Cesi. 

La montagna di Cesi è straordinaria anche per ospitare sulla cima e su altri terrazzamenti, importanti aree archeologiche con i resti di antichissimi luoghi di culto, che sono stati indagati con diverse campagne di scavi e che hanno da sempre esercitato un grande fascino sulle popolazioni della zona originando anche numerose leggende e storie incredibili
 

Alla ricerca di Criptona, la città sotterranea

Gallerie, strade sotterranee, città nascoste, hanno stimolato la fantasia nella letteratura di ogni tempo. Come ad esempio nel caso di Moria, la città sotterranea dei nani descritta da J.R.R. Tolkien nel "Signore degli Anelli", oppure nel mito della terra cava che dette spunto a Jules Verne per il suo romanzo “Viaggio al centro della terra”.
Anche sotto i Monti Martani ci sarebbe una città nascosta, perduta, che si chiamerebbe Crotona, o meglio Criptona, in greco, che significa - appunto - "nascosta". Ci sono antiche leggende su quest'argomento, alimentate da alcuni riscontri, come la reale esistenza di moltissime grotte, cavità e gallerie nella zona tra Cesi, Torre Maggiore e Carsulae.
Un appassionato di storia antica di Terni, l'ingegner Costanzi, negli anni '30 del secolo scorso, raccolse in un libricino ormai quasi introvabile queste leggende. A partire da quella della Regina degli Umbri.

Prima ancora che i Romani conquistassero queste terre, i Monti Martani erano infatti abitati da popolazioni umbre, che avevano la propria roccaforte a Sant'Erasmo, sopra Cesi. Ma in un'antichità più remota, che si perde nelle nebbie della storia, lì avrebbe dimorato anche la leggendaria stirpe dei Pelasgi e proprio loro avrebbero scavato le caverne, poi utilizzate dagli Umbri. 
In ogni caso dalla montagna di Cesi, secondo gli antichi racconti, si accedeva ad un vero e proprio regno sotterraneo. Le gallerie erano strade, percorse in biga dalla Regina degli Umbri e conducevano dalla montagna fino a Carsulae. 

Fantasie, miti? Fatto sta che la montagna di Cesi si chiama ancora oggi Monte Eolo perché soffia aria dalle tante cavità che ha al suo interno, a cominciare dalla grotta Eolia che si trova proprio in corrispondenza del paese. Anche a Sant'Erasmo c'è l'ingresso di una caverna e proprio pochi metri al di sotto del grande tempio di Torre Maggiore ce n'è un'altra. Secondo gli archeologi questa grotta era collegata direttamente con la cella del tempio, attraverso un mundus un foro, nel quale si gettavano le offerte votive. 

La strage degli Umbri nelle cavità di Monte Eolo

"Durante il consolato di Lucio Genucio e di Servio Cornelio (...) a far sì che l'anno non trascorresse del tutto senza episodi militari, ci fu una modesta spedizione in Umbria; era infatti giunta notizia di una banda armata che, partendo da una caverna, compiva scorrerie per le campagne. Truppe romane raggiunsero la caverna, ma per l'oscurità sulle prime subirono molte ferite, fino a quando non scoprirono un altro accesso percorribile in entrambe le direzioni, e appiccarono il fuoco a cataste di legna alle due imboccature. E così i duemila uomini circa che si trovavano all'interno della grotta, costretti a gettarsi attraverso le fiamme, alla fine morirono soffocati dal fumo e dal calore nel tentativo di uscire".

Fin qui la cronaca di Tito Livio, riportata nel Libro X delle sue Historiae dalla fondazione di Roma. In molti hanno identificato la grotta di cui parla lo storico romano con quelle della montagna di Cesi. In effetti all'inizio del terzo secolo avanti Cristo, Roma completò la conquista dell'Umbria e i Martani potrebbero essere stati un baluardo della resistenza delle popolazioni umbre nei confronti dei Romani.

Il mito dei duemila armati umbri sepolti vivi ha stimolato, negli anni, la fantasia di molti. Degli speleologi, in primo luogo, che hanno perlustrato in lungo e in largo le profondità della montagna di Cesi alla ricerca di qualche indizio sulla veridicità della storia raccontata da Livio. Finora però i risultati sono stati deludenti, anche se le gallerie nel sottosuolo sono davvero tante, molte delle quali crollate, o inaccessibili con i mezzi a disposizione. E dunque, la ricerca continua.
 

Il mito del tempio pagano di Torre Maggiore

I Lincei, il tempio e le grotte

Le rovine dell’Ara Maior, del grande tempio prima italico e poi romano sulla cima del Monte Torre Maggiore a 1120 metri di quota, hanno sempre stimolato la fantasia delle popolazioni circostanti. Interessante è notare che la fama del tempio e delle grotte sottostanti restò intatta per secoli anche durante il Critianesimo. 
In questo passo del Carteggio Linceo, il Duca Federico Cesi, fondatore ad Acquasparta dell’Accademia dei Lincei scrive così del tempio di Torre Maggiore.
"...e vicino al monte sacro falsamente alla gentilità, per l'Ara massima che ancora si vede nel sommo, loco deputato ai sacrificij e dedicato alla divinità, come il sommo del Monte Olimpo in Grecia e del Monte Albano a Giove latino vicino Roma. Quest'ara hoggi creduta dal volgo principio di torre, d'altri residuo non considerando che non vi si vedono altre rovine, ha dato il nome al Monte di Torre maggiore, luogo ad altri venerando e orribile per trovarvisi entro caverne, scale, ascondigli di tesori e simil vanità. Ma veramente sacro da S.Francesco in qua per l'Eremo nostro Cesio ricettacolo di quel serafico Padre e del nostro Beato e di tant'altri servi di Dio".
(Federico Cesi ad Albinio de l'Atti in Todi - Acquasparta 28 giugno 1624 - Dal carteggio Linceo)
 

Il Sabba di Carnevale
Sempre sulla persistenza dei culti pagani all’Ara maior sulla cima del Monte Torre Maggiore, c’è questa storia narrata un manoscritto conservato a Todi da padre Faustino da Toscolano, novizio francescano nel 1616, presso il convento l'Eremita degli Arnolfi.
“A Cesi, in tempo di carnevale, un tal nostro amorevole con la sua moglie andorno alla veglia in altra casa loro famigliare, et lasciorno in propria casa una figliola di dieci anni incirca, questa disgustata, piangendo si lamentava non esser stata condotta a tal recreatione, e sentita da una vecchia sua vicina la persuase a tacere et a essere in sua compagnia, che l'havrebbe condotta ad un festino nobilissimo. Prestò facilmente il consenso la povera fanciulla, et essendo dalla mala vecchietta instruita la seguitò, e furon trasportate nella sumità del monte detto Torre Maggiore, ove trovorno suoni, balli, molte persone cognite et apparecchi di tavole suntuose. La povera figliuolina scordatasi dell'ammaestramento della mala vecchia, e stupìta di tanta grandezza e festa disse: "Gesù Maria che belle cose!" . Et al proferir di tante parole subito tutto disparve, restando la povera figliuola iggnuda e sola in si alto monte. La quale con continuo pianto e stridori cominciò a camminare, sensa saper ove si fosse, nè dove così di notte viaggiasse, miracolosamente si accostò alla Romita nostro convento, e sonando il nostro sacristano a matutino nella mezza nocte, si sentirono i pianti di suddetta figliuola, che poco lontano dal convento si trovava, per la quale il soddetto padre guardiano (Domizio da Bastia) et un certo frat'Eliseo d'Avigliano andorno, la condussero al luogo in una stanza fuori della chiesa e rivestitala con i nostri panni la condussero dalli suoi genitori la mattina per tempo certi che nessuno se n'avvedesse.
Fra l'altre che detta figlia racontava, era che haveva visto un tesoro inestimabile, alla quale fu proibita mai di cosa'alcuna parlare, ma come donna poco stimò il precetto,che pubblicava quanto gl'era successo hor coll'altra compagna. Non fu contro l'opinione comune che havendo detta figliuola visto tesori, per che così corre voce, per il che nel mese di giugno del soddetto anno 1616 vennero alcuni signori di stima da Roma con la beneditione del papa Paolo V, conducendo molte persone perite per cavar il soddetto tesoro. Et gionti al soddetto convento con calde raccomandationi di monsignor Dionisio della Torre frate nostro confessore del soddetto pontefice, significorno al soddetto padre guardiano quanto pretendevano, e per che erano da 16 persone che da ogni sera ritornavano al convento, ci fu non poco scomodo. Questi signori intesero il caso occorso alla sopradetta figliuola et operorno che andasse a dargli qualche notizia del luogo ove haveva visto il tesoro, andò la figliuola con altri suoi congionti et facendo segno con un piede dicendo " Cavate qui in questo luogo". Subito gli entrorno spiriti nel piede, e restò spiritata et a sua casa fu riportata.Li soddetti signori trovorno lavoratori e manuali et cavorno in detto luogo, ma in poco tempo cominciorno a piovere grandine, tuoni e saette, et alla fine bastonate che le convenne lasciar l'impresa con loro notevole spesa e travaglio, non havendo trovato che alcune statuette di bronzo, quali le servirono di mostra di tesoro, ma li segni delle bastonate li avevano sotto nelle proprie carni, e con questo partirono poco consolati per Roma nè altro mai più intesi".
P.Faustino da Toscolano, “Dell'ingresso e progresso nella Serafica Religione, et viaggi da me fatti fino a Napoli”, ms. conservato presso l'Archivio Comunale di Todi
Tratto da: Cesi capitale delle Terre Arnolfe, P.Rossi, C.Feliciani

I Mazzamorelli, folletti dei Martani

Un’altra storia cesana molto antica è quella che riguarda il mazzamorello, un folletto che infastidisce abitanti e viaggiatori con vari dispetti, battendo sui muri delle abitazioni per impaurire gli abitanti, da cui il nome che rimanda ad una mazza e ai muri. Nella zona di Cesi si ritiene che il Mazzamorello sia attivo soprattutto di notte e che sia responsabile delle crisi d’asma dei malcapitati, oltre che della fuga degli animali dai recinti.
Una “Strada di Mazzamorello” corre a fianco dei binari della Ferrovia Centrale Umbra, a Cesi Scalo ed è citata già nel catasto di Terni come confine tra Terni e Narni nel 1568.
Dal  “Vocabolario del dialetto ternano”  di Flavio Frontini (Terni, 2002) scopriamo che lu mazzamurellu è uno “spirito, folletto – incubo notturno specie di spiritello che disturba i dormienti sedendosi sul loro stomaco. Si racconta che durante il terremoto del 1917, a seguito dei crolli di lame di roccia dal costone di Sant’Erasmo, si liberarono nell’aria molti mazzamorelli”
Il mazzamorello in realtà è presente nel folklore di molte regioni del Centro-Sud d’Italia; per restare in zona, possiamo incontrarlo anche in qualche anfratto della Cascata delle Marmore, dove assume il nome di gnefro.