Terni, 1967 - di Sabatino Moscati
Una delle più affascinanti passeggiate dell’Umbria, e delle meno conosciute, è quella che si diparte dal piccolo borgo medievale di Cesi, poco sopra Terni, e s’inerpica su per il Monte Sant’Erasmo, salendo da quattrocento a quasi ottocento metri di quota. Fino a qualche tempo fa, non c’era che da affidarsi alla robustezza delle proprie gambe; ma ora una strada appena tagliata nella roccia apre il passo anche all’automobile, purché si sia prudenti e si proceda con estrema lentezza.
Tagliata nella roccia, abbiamo detto; e in realtà il taglio della strada è ancora grezzo, vivo, in attesa di un’ulteriore rifinitura. I resti dei massi sgretolati in frammenti coprono il piano battuto, solo divisi dai solchi delle ruote delle automobili. Verso la valle, che si profila sempre più nebbiosa salendo, non v’è riparo alcuno: sicché alle curve brusche, angolose, vi prende come l’angoscia di un immanente pericolo.
Ma quando siete più in alto, ormai al margine del pianoro di Sant’Erasmo, quando l’angoscia si placa nella certezza della meta raggiunta, allora lo spettacolo delle pareti rocciose si delinea in tutto il suo fascino selvaggio. La pietra, spaccata in nette sezioni verticali per incassarvi la strada, brilla a tratti di una luce rosa vivida. Quasi innaturale. E la luce si spegne solo sul pianoro, che ha al centro una chiesetta medievale chiamata con lo stesso nome del Santo, oggi in via di crollo per la rovina degli anni. Attorno alla chiesa pascolano poche mucche tranquille, quasi parte anch’esse del paesaggio.
In basso verso la valle, si delineano le case di Terni. Più oltre , lontano, si stagliano le nevi bianche del Terminillo.
A questo punto, se vi aggirate attenti sullo spiazzo aperto, vedrete con sorpresa che i grossi blocchi di pietra. Affioranti qua e là sul terreno, non sono affatto naturali, bensì squadrati, levigati, sovrapposti gli uni agli altri, per formare muri possenti. A tratti i muri si appoggiano ad un lastricato, che chiaramente indica un’antica strada. Altre volte, i blocchi squadrati disegnano porte, evidenti accessi al centro incluso nelle mura. Ed ecco infine un torrione, crollato, ma ben chiaro nella sua sagoma possente. Tutti questi ruderi, si noti, non sono affatto nascosti: la rada vegetazione di bassi cespugli, che punteggia il pianoro, appena ne vela qualche parte o fondamento.
Di che si tratta, dunque? Né più né meno che di un antico abitato, fortezza o cittadella montana posta in un luogo altamente strategico per controllare le valli e le strade dell’Umbria. Il soprintendente Umberto Ciotti può raccontarvi come è giunto quassù, prima ancora che si aprisse la strada, e con audaci e pazienti ricognizioni ha iniziato l’individuazione di questo centro finora pressoché ignoto dell’Umbria antica.
Può anche dirvi, quanto all’epoca della cittadella, che la ceramica trovata sui muri suggerisce qualcosa come il terzo o secondo secolo avanti Cristo. Per il resto, gli scavi sono ancora da fare; e come ogni novità in anteprima, non si può aggiungere per ora altro.
Piuttosto, qualcosa di interessante v’è ancora più in alto del piano di Sant’Erasmo, a qualche centinaio di metri sulla costa del Monte Torre Maggiore, di cui Sant’Erasmo è uno sperone. Qui la recente installazione di un ponte radio costituisce la significativa conferma dell’importanza essenziale del luogo: com’è vero che la storia ha le sue leggi costanti, e gli uomini più o meno consciamente vi si adeguano! E non v’è solo il ponte radio moderno, bensì anche la struttura evidente di un santuario antico. Tra le pietre, un bronzetto con figura di guerriero: unica immagine umana dall’abisso dei secoli.
Cittadella fortificata di Sant’Erasmo, santuario di Monte Torre Maggiore: queste scoperte che vengono consegnate all’archeologia di domani pongono intanto un problema alla storia di oggi. Il problema è costituito dalla vicinanza , a valle, del grosso centro romano di Carsulae, dove pure sono in corso degli scavi: ebbene, senza voler decidere tutto fin d’ora, non è possibile e plausibile che la cittadella e il santuario costituiscano l’antefatto di Carsulae, siano il luogo in cui prima risiedevano le genti che poi si concentrarono a valle?
Ad ogni modo, la visita di Carsulae ormai s’impone, sicché bisogna riscendere sulla via sassosa (ancora più prudenza di prima!), ripassare per Cesi, sboccare sulla provinciale per poi raggiungere rapidamente, con una deviazione, l’antico centro. E qui sosterete ammirati, nel silenzio della campagna, di fronte ai maestosi, edifici del passato, dalla basilica ai templi, dall’anfiteatro al teatro. Si dispongono, questi edifici, ai lati della via Flaminia, il cui lastricato si snoda tagliando a mezzo la città; e sulla via stessa il termine dell’abitato è posto da un grande arco, oltre il quale si raccolgono tombe monumentali.
Ora, vi sono alcune osservazioni interessanti da fare. I due templi, di cui sopra si è parlato, appaiono affiancati e perfettamente uguali: non è ragionevole pensare che fossero dedicati a due divinità gemelle, per esempio Castore e Polluce? Ma anche la chiesetta medievale che sorge ai margini dell’abitato, e che ovviamente utilizza materiali più antichi, ha una dedica duplice anziché singola, a Cosma e Damiano.
E allora, non abbiamo in ciò forse la spiegazione più attendibile al nome della vicina San Gemini, e cioè “gemelli” ?
San Gemini, con le sue celebri acque terapeutiche, ci porta a un altro discorso. L’anfiteatro di Carsulae è di dimensioni imponenti, tali da stupire chi sappia che nelle vicinanze altri centri romani non mancano certo. Ma le dimensioni si spiegano qualora si ammetta che già duemila anni or sono la cura delle acque radunasse in questo centro molte e molte persone: nel qual caso è più che logica la capienza dell’edificio. Del resto, gli storici antichi non tacciono di acque medicamentose in quest’area, sicché l’ipotesi si prospetta assai ragionevole.
Come sia finita Carsulae, potete vederlo bene osservando il lastricato dell’antica via: a un certo punto, esso sembra inabissarsi e precipitare di lato, il che può essere avvenuto solo per un franamento del terreno. Nessuna azione umana, dunque, bensì la mano possente della natura, abbattutasi d’improvviso sull’abitato col risultato di sprofondarlo nelle cavità sottostanti. E forse proprio allora le acque in superficie si inabissarono, e inabissandosi entrarono in contatto coi minerali del sottosuolo, costituendo un bacino perpetuo di ricche virtù termali. Ma questo è un problema da geologi, sicché a loro spetta l’ultima parola.
"Gli dei gemelli"
di Sabatino Moscati *
tratto da: Avventure archeologiche - Gherardo Casini Editore, Roma 1968
* Sabatino Moscati (Roma, 24 novembre 1922 – Roma, 8 settembre 1997) è stato un archeologo, storico e orientalista italiano. E' stato presidente dell'Accademia dei Lincei dal 1994 al 1997