Templi di Torre Maggiore

Cesi porta dell'Umbria porta delle meraviglie

I Templi di Torre Maggiore: un viaggio nell'antica civiltà umbra

Monte Torre Maggiore rappresenta da sempre un punto di riferimento visivo ed identitario per tutta l’area ternana, poiché corrisponde con l’altura di maggior rilievo presente nella zona, da cui ha inizio la catena dei Monti Martani, che chiude la vallata ternana disposta tra Narni e Terni.

Tale ruolo, sottolineato dalla presenza del santuario antico, rimasto sempre in parte visibile, resta conservato nel nome di Ara Maior, attestato nel XVII secolo, o di Monte Peracle, alla fine dell’800.
La cima del monte infatti, dalla distintiva forma tondeggiante, venne regolarizzata artificialmente e divenne luogo di un santuario che può essere considerato come il fulcro di un sistema complesso di siti d’altura ascrivibili ai Naharci, tutti posti a quote comprese tra i 600 e i 1000 m, che grazie alla posizione favorevole potevano essere visivamente collegati, anche a dispetto di distanze notevoli. 
L’area del santuario, dopo l’obliterazione e la distruzione, venne indagato e riportato alla luce grazie ad una serie di scavi sistematici realizzati dall’allora Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria.

Quello che emerge è una situazione stratificata, la cui prima fase originaria può essere collocata all’interno del VI sec. a.C., periodo in cui si assiste ad un fiorire di situazioni simili in diverse aree del territorio umbro, da Colfiorito a Gubbio, ad Ancarano di Norcia, da collegare con il fiorire delle aristocrazie umbre.

In questa prima fase dobbiamo immaginare un luogo privo di strutture stabili, ma comunque già sistemato, con la presenza di una cavità a forma di imbuto, scavata nella roccia, alla quale era collegata una canaletta, elementi che costituirono per sempre il centro ideale del santuario, il cosiddetto mundus.

All’interno della cavità sono stati ritrovati i tanti bronzetti schematici ascrivibili alle prime fasi del santuario, che dal VI giungono fino agli ultimi anni del IV sec. a.C. Compaiono figure estremamente schematiche, a chiodo, nelle quali si distingue solo la testa del soggetto, seguite dalle classiche rappresentazioni schematiche di guerrieri, talvolta figure femminili ed esemplari che ritraggono equini e bovini. Tali figure venivano offerte alla divinità (o alle divinità) del santuario, in cambio di aiuto, oppure “per grazia ricevuta”. Molto importante fu il rinvenimento di una saetta in bronzo dorato, insieme ad altri esemplari di piccole saette in bronzo, utili per ipotizzare la presenza del culto dedicato a Iuppiter Fulgurator.

Intorno alla metà del III sec. a.C. si può collocare la successiva fase di monumentalizzazione, che va collegata con l’arrivo della dominazione romana nel territorio umbro, avviato con la presa di Nequinum (Narni), nel 300 e conclusasi con la deduzione della colonia di Spoletium nel 241 a.C. Poiché il luogo era percepito dalle comunità locali come identitario e di prima importanza, i romani lo rispettarono e, per accelerare la romanizzazione del territorio, vi introdussero, sovrapponendoli ai precedenti, le loro pratiche religiose e culturali.

Ecco quindi che vennero realizzate le strutture che vediamo oggi, tra cui il muro di recinzione (temenos), che circonda l’area, insieme alla serie di ambienti ancora visibili e, dapprima, la struttura del tempio A, in asse con l’ingresso, riconoscibile grazie ad una grossa lastra in pietra e con il pozzo, che altro non è che la monumentalizzazione rispettosa della precedente stipe votiva originaria. Il tempio, perfettamente orientato Est – Ovest e posto sull’esatta sommità del monte, aveva pronao e cella, con pianta rettangolare di circa m 11,80 x 7,90 e doveva essere preceduto da una scalinata che conduceva all’ingresso del pronao, formato da 4 colonne sulla fronte. La struttura è in opera quadrata leggermente bugnata, di pietra certamente locale. 

Il rinvenimento di parti architettoniche in calcare locale consente di ipotizzare che il fregio continuo del tempio fosse percorso da una serie di protomi a forma di testa di leone, utilizzati come gocciolatoi, per lo scorrimento delle acque piovane dal tetto. Certamente, nei piccoli ambienti che circondano il tempio, dovevano essere prodotti gli oggetti che i fedeli offrivano alle divinità, pratica ampiamente attestata in tutti i santuari antichi, dimostrata da una serie di scarti di lavorazione individuati durante le indagini archeologiche. Di eccezionale importanza fu il rinvenimento di una testa di divinità femminile nell’angolo Nord – est del santuario, con capelli ripartiti da scrimatura centrale e cinti da diadema, con parte posteriore non lavorata, che è certamente da interpretare come un acrolito, cioè la testa scolpita della statua di culto, il cui corpo veniva poi realizzato in materiale diverso.

In un secondo momento, probabilmente in epoca tardo repubblicana, venne poi realizzato un secondo tempio, di dimensioni simili al primo e sempre con 4 colonne sulla fronte, ma con differente tecnica costruttiva, l’opera cementizia, poi rivestita da lastra calcaree che simulano l’opera quadrata bugnata, in continuità con il vicino tempio A, spia questa di una minore antichità.
Il ruolo di fulcro sacro di tutto il territorio venne saldamente mantenuto anche nei successivi secoli dell’Impero, come testimonia la lunga serie di materiali individuati, tra cui monete e forme ceramiche, che dimostrano una continuità d’uso almeno fino a tutto il III sec. d.C.